Mentre nelle librerie compaiono sempre più spesso volumi con un numero di pagine enorme, a volte “imbarazzante”, capita di scoprire autori giovani editi da piccole case editrici che condensano in un centinaio di pagine un intero mondo, perché sanno raccontare.
Milena Agus è una di questi. Al suo terzo lavoro, ha ottenuto un grande successo, come testimoniano le molteplici traduzioni dei suoi libri e i premi letterari ad essi conferiti.
Il suo racconto affascina e prende appieno il lettore, ma la sua caratteristica peculiare è la semplicità; l’atto del raccontare è naturale e fluente, non ha barriere e non conosce particolari artifici letterari: è racconto allo stato puro.
Alcuni libri, specialmente al femminile ( penso a Banana Yoshimoto, per esempio), lasciano nel lettore non un particolare ricordo dei personaggi e della trama, quanto piuttosto una serie di sensazioni; spesso i personaggi sfumano e si fatica a ripensare le storie ad essi collegate.
Quando si è finito di leggere Milena Agus, e lo si fa tutto d’un fiato, ci si rende conto invece di ricordare perfettamente i contenuti del suo racconto e ci si meraviglia di quanto contenuto all’interno delle sue pagine: la Sardegna con i suoi colori e i suoi profumi; l’amore, quello della vita vera, fatto di passione, di abitudine, di erotismo, l’amore sofferto, ma vissuto appieno; la filosofia di Leibniz; e la violenza, la follia, la speculazione edilizia, la potenza del silenzio, le ali della fantasia, le ali di un babbo scomparso o morto o fuggito che continua a manifestarsi alla figlia adolescente. I personaggi sono così vividi e scoperti nei loro sentimenti da risultare famigliari, con un meccanismo di partecipazione del lettore alla loro vita difficilmente rintracciabile, se non in autori molto famosi.
Leggendo Ali di babbo viene spontaneo chiedersi se anche le opere precedenti della Agus sono altrettanto godibili. E allora, a ritroso, Mal di pietre e Mentre dorme il pescecane forniscono la certezza di trovarsi davanti ad una scrittrice di indubbio talento.
Recensione di Sandra Rebecchi